CHIARA APPENDINO SE NE VA. TORINO RINGRAZIA

By | 15 Ottobre 2020

Chiara Appendino se ne va.
O meglio, se ne andrà.
Lascerà la poltrona di sindaco di Torino a cui era ascesa nel 2016 tra grandi entusiasmi e battimani del popolo pentastellato e non si ripresenterà, come da lei stessa ufficializzato nei giorni scorsi, come candidata per le elezioni comunali della primavera del 2021.
La rinuncia viene, magari solo in ordine di tempo, dopo la condanna dello scorso settembre a sei mesi per falso in atto pubblico per la vicenda Ream – ovvero per un debito del Comune di ben 5 milioni di euro che avrebbe dovuto essere iscritto nel bilancio comunale 2017 ma che, in barba a ogni elementare principio contabile, è stato stornato dal bilancio di competenza, in modo che la nuova sindaca si potesse presentare, nel suo primo anno di mandato, con credenziali migliori.  Assieme ad Appendino condannati per lo stesso reato il suo ex braccio destro nonché ex alter ego Paolo Giordana, che si porta a casa otto mesi, e l’assessore Sergio Rolando,sei mesi.
Ma il debito Ream non è stato l’unico intoppo in una gestione disordinata, raffazzonata e senza visione: sotto la guida di Chiara Appendino e della sua truppa pentastellata, Torino ha anche perso grandi occasioni, ha perso grandi mostre di interesse internazionale, ha perso il Salone dell’auto, soffiatoci da Milano, le Olimpiadi invernali, ricevendo in cambio delle finali ATP di Tennis che fino ad ora non si è filato nessuno e che un torinese su tre non sapeva manco che esistessero.
E oltre a cio’, ci sono da sommare le due morti, e gli oltre mille e cinquecento feriti, verificatisi in seguito alla disastrosa gestione della trasmissione su maxi schermo della finale della Champions League tra Juve e Real Madrid in Piazza San Carlo, nel 2017, con la sindaca bellamente in trasferta – dietro regolare invito dell’ente preposto, certo,  – a Cardiff, per seguirsi la finale dal vivo della squadra del cuore, mentre in piazza a Torino la gente moriva schiacciata in preda al panico senza poter usufruire di vie di fuga, dimenticate e trascurate da una gestione frettolosa e incompetente. C’è un sovrintendendente del Teatro Regio fortemente voluto da Appendino, William Graziosi, indagato per corruzione; c’è un capo di gabinetto, Paolo Giordana, che chiedeva candidamente al capo della polizia municipale sabauda di cancellare le multe ai suoi amici (per un maggiore dettaglio delle varie medaglie della truppa pentastellata cliccare qui). Cose così, meschine, indegne dei duri e puri che sono saliti agli  onori delle cronache con ben altri  principi e proponendosi di fare piazza pulita del vecchio marciume da pirma Repubblica.
E come se non bastasse, l’ossessione di questo ultimo pezzo di mandato per bici e monopattini elettrici, che ha portato a ingolfare Torino di piste ciclabili, di monopattini parcheggiati ovunque, di ragazzini che scorrazzano in coppia per i portici sui suddetti monopattini e disabili che non possono transitare proprio a causa del loro abbandono in qualunque punto dei marciapiedi. Ci sono atmosfere di abbandono, di grigiore, di una Torino che ha perso pezzo dopo pezzo, attimo dopo attimo, quell’allure di città moderna e frizzante che era faticosamente riuscita a costruirsi dopo decenni di grigia ed esclusiva identificazione con la città delle auto, dello smog e dell’inquinamento.
E ora, dopo chilometri e chilometri di piste ciclabili e di monopattini, di fiumi di vernice rossa utilizzati per pitturare le “case avanzate” per le biciclette a praticamente tutti gli incroci di Torino– il tutto finanziato con fondi UE destinati alla mobilità sostenibile, certo, ma che non per questo devono essere investiti senza criterio -, di strade chiuse alle auto dove nemmeno le ambulanze possono entrare, di fioriere piazzate dovunque, di controviali trasformati in piste ciclabili, di vie del centro nevralgiche per il traffico automobilistico diventate di punto in bianco aree pedonali, il risultato è questo: Torino non è una città meno inquinata, lo smog è rimasto ai nefasti livelli padani che ne fanno uno dei luoghi più inquinati del mondo per la sua particolare struttura geografica, l’aria non è più pulita, nonostante l’invasione di monopattini elettrici, i marciapiedi sono sempre luridi allo stesso modo, sia in centro che in periferia, la viabilità torinese, nel tentativo bucolico di farla somigliare a quella di Casale Monferrato o di Gassino torinese, è stravolta, le code di macchine sono ovunque, con conseguente aumento dell’inquinamento e incazzture quotidiane degli automobilisti torinese e, quel che è peggio, tutta la magia che un po’ cominciava a intravedersi a Torino in questi anni ha lasciato il posto a un cupo grigiore diffuso di una città senza una direzione, senza visione, senza mostre, senza cultura e senza una guida in grado di avere uno straccio di visione politica nè a lungo nè a breve termine.
E’ questo che maggiormente si rimprovera, almeno da parte di chi scrive, ad Appendino e alla sua ciurma di improvvisati: hanno avuto il privilegio di poter guidare una città magnifica, ricca di potenziale, una città che dopo un periodo di transizione stava cominciando a costruirsi una precisa identità di polo culturale e turistico, un città che sotto una guida esperta o almeno “professionale” avrebbe potuto continuare un cammino verso una riqualificazione identitaria ed econonicoa;  e lo hanno miseramente sprecato, buttato, via, insozzato: tra morti, bilanci taroccati, giochini di potere, misere bassezze e infimi tornaconti personali, come e peggio di coloro che proprio i Cinque stelle hanno sempre disprezzato e messo alla pubblica gogna.
Questo è quello che ci lasciano Appendino e i suoi: una Torino spersa, smarrita, svuotata. Ma in compenso, piena di inutili monopattini elettrici.