TRIPOLINE E ABISSINE “LA MOLISANA”: SOLO L’ULTIMO CASO DELLA FURIA INTEGRALISTA DEL POLITICALLY CORRECT

By | 8 Gennaio 2021

Il caso delle Tripoline e delle Abissine, i due formati di pasta che il pastificio La Molisana ha dovuto in fretta e furia rinominare dopo la shitstorm solletavasi nei giorni scorsi sui social, è solo l’ultimo caso che la furia integralista dei difensori del politically correct ha preso di mira al grido di “abbasso i fascisti delle conchiglie rigate!”, e che sta inesorabilmente condizionando  il nostro modo di parlare e, di conseguenza, di agire e di pensare.

I fatti sono noti a tutti: un paio di giorni fa, un giornalista scopre con raccapriccio che lo storico pastificio di Campobasso ha ancora in produzione dei formati di pasta che hanno dei nomi che rimandano agli anni ‘30 del secolo scorso, quando furono lanciati, nomi che riflettono il periodo del colonialismo italiano, durante il quale l’entusiasmo per lo sbarco italiano nelle terre d’Africa godeva presso la popolazione italica di in consenso quasi unanime. E anche La Molisana pensò bene di celebrere le italiche “prodezze” con dei formati di pasta dai nomi esotici, vale a dire appunto Tripoline e Abissine. Formati di pasta che, quindi, sono in catalogo del pastificio molisano da quasi un secolo, e che sono rimaste lì a fare il loro umile dovere zitte zitte sugli scaffali dei supermercati, senza far danno a nessuno e schivando, fino ad ora, trrappole e intoppi derivanti da maldestro revisionismo storico, furia iconoclasta, roghi di libri, haters da tastiera e falci da polically correct.

Fino ad ora. Anzi, per essere precisi fino a qualche giorno fa, il 4 gennaio, data nefasta in cui appunto il giornalista di cui sopra, Niccolò Vecchia, si accorge che – orrore! – negli scaffali dei supermercati ancora esistono quei formati di pasta dal nome oggi impronunciabile, corredati da tanto di scheda-prodotto con descrizione che, per i fautori del politically correct e per i duri i puri di sinistra, suona quasi come uno sberleffo o piuttosto un vero e proprio inno di guerra: “Negli anni Trenta l’Italia celebra la stagione del colonialismo con nuovi formati di pasta: Tripoline, Bengasine, Assabesi e Abissine”. La scheda prosegue con la ciliegina sulla torta, specificando che “di sapore littorio, il nome delle Abissine Rigate all’estero si trasforma in “shells”, ovvero conchiglie”. Lo sdegno viene regolarmente postato dall’alacre giornalista sui social, dove nel giro di poco diventa virale, con la conseguenza che il pastificio viene sommerso dall’odio da tastiera.

Soprattutto il “sapore littorio” – effettivamente un’uscita infelice in qualsiasi tempo-  ai duri e puri detentori del Bene e della Giustizia assoluti, proprio non è andato giù; se infatti i manichei del XXI secolo potevano forse sorvolare sdegnosamente sui nomi di Abissine e Tripoline, il “sapore littorio”  proprio non lo possono digerire, con la conseguenza che il pastificio molisano viene fatto oggetto sui social, lo strumento per eccellenza di linciaggio collettivo  dei nostri gironi, di ogni forma di denigrazione virtuale possibile e immaginabile, di pubbliche e plateali reprimende – e poteva mancare anche lo sdegno dell’alfiere, anzi, dell’alfieressa della giustizia di Laura Boldrini? – tanto che la famiglia Ferro, titolare del pastificio, dileggiata, minacciata, mortificata e insultata, dopo aver preso atto della slavina di insulti e delle numerose immagini postate sui social in cui vengono raffigurati pacchetti di pasta fotografati al contrario, a testa in giù, a ricordare una delle pagine più buie della storia italiana, nel volgere di poche ore si vede l’acqua alla gola, e per risollevare le sorti dello storico pastificio, che rischiano di volgere al peggio nel giro di pochi istanti, diffonde un comunicato in cui si cosparge il capo di cenere, rimuovendo immediatamente dal sito le schede-prodotto incriminate e rinominando seduta stante le inocolpevoli Tripoline e Abissine: “ Ci scusiamo per il riferimento riguardante il formato di pasta ‘Abissine rigate’ – scrive il pastificio nella nota – che ha rievocato in maniera inaccettabile una pagina drammatica della storia. Cancellare l’errore non è possibile, ci impegniamo a revisionare il nome del formato in questione attingendo alla sua forma naturale”. Stessa sorte per le Tripoline: “Non abbiamo alcun intento celebrativo quando parliamo di questi formati storici – scrive Rossella Ferro – , nati negli anni ’30. E infatti abbiamo appena provveduto a cambiare le schede descrittive dei prodotti. Siamo molto attenti alla sensibilità dell’opinione pubblica e in questo caso l’unico errore è stato non ricontrollare tutte le schede affidate all’agenzia di comunicazione”.

Fine ingloriosa e mortificante dunque per Tripoline e Abissine, che dopo aver svolto pacificamente per quasi un secolo il loro dovere nei piatti degli italiani, vengono rinominate con anonimi e i innocui nomi quali “conchiglie” o “farfalline”. Un accanimento assurdo, uno sdegno fuori luogo e sproporzionato, che ha fatto intervenire sul caso, e a favore del pastificio molisano, addirittura l’Anpi, l’associazione partigiani, che ha dovuto arrivare al punto di diffondere un comunicato ufficiale per difendere lo storico pastificio ormai in balia di haters e bull del computeri: “Per chi conosce la storia della famiglia titolare del Pastificio ‘La Molisana’ – scrive l’Anpi – non possono sorgere incomprensioni su un tema così delicato: i nazifascisti ritirandosi da Campobasso distrussero la loro azienda”, mentre nel dopoguerra, continua il comunicato, il capostipite della famiglia Ferro  era solito sovvenizionare  le Feste dell’Unità con regolari sottoscrizioni. Niente fascisti, quindi,  niente scandalo, anche se, conclude la nota dell’Associazione dei partigiani, “è opportuno che ‘La Molisana’ chiarisca, se necessario anche in modo più fermo, la propria totale estraneità ad ogni riferimento col fascismo”.

Una difesa, quindi, certo, ma  sottoposta a condizione, una sorta di elemosina, a cui il pastificio, per non vedere crollare il buon nome del proprio marchio e relative vendite si è piegata di buon grado, cospargendosi il capo di cenere fino quasi all’umiliazione. Umiliazione, sì, perché abbassare il capo di fronte all’’intransigenza, alla tracotanza, al furore cieco ma anche alla miopia becera di coloro che si credono gli unici depositari della verità, che ottengono i loro cinque minuti di gloria accusando e insultando i loro obiettivi sui social prendendosela  a caso oggi con un piatto di penne, pardon, di tripoline e domani chissà,  o che invocano piazzale Loreto per i nomi di un formato di pasta, sono quegli stessi che, con il loro estremismo e la loro intransigenza nel difendere quelli che considerano i “giusti” valori indipendentemente da ogni contesto e da ogni periodo storico –  e non sempre invece schierati dalla parte del “giusto”, come in questo caso – generano un immancabile  moto di reazione negli “altri”, in coloro che la pensano diversamente, reazione che per fortuna, nella maggior parte dei casi e  nelle menti equilibrate,  si risolve con una sorta di rancorosa rassegnazione e muto compatimento, ma che nelle menti più semplici e influenzabili generano invece un modo di ribellione e violenza, un moto di disprezzo e anche di odio verso questo eccesso di correttezza miope e manichea, che a volte sfocia in azioni inconsulte e incontrollabili. E non stupiamoci poi se qualcuno, esacerbato da un politically correct portato all’estremo e ostentato con metodi davvero “fascisti”, un bel giorno decida di pitturarsi la faccia, indossare un elmo con le corna e un copricapo di marmotta e di ribellarsi a tanto esasperato rigore irrompendo con rabbia e violenza nel bel mezzo del simbolo della democrazia occidentale. Perchè si sa, a ogni azione, esagerata, corrisponde una reazione uguale e contraria. Altrettanto esagerata.