C’ERA UNA VOLTA PIAZZA CARLINA….

By | 20 Giugno 2019

C’era una volta Piazza Carlina.

Piccola, raccolta ed elengantemente silenziosa, la piccola piazzetta torinese risalente al XVII secolo se ne stava lì, accogliendo i passanti con il suo fascino discreto e raffinato. Non fastosa come Piazza San Carlo, non ampia come Piazza Vittorio, non regale come Piazza Castello e nemmeno civettuola come piazzetta Maria Teresa, il punto di forza di  questa piccola piazza, il cui nome è in realtà piazza  Carlo Emanuele II ma che i torniesi doc hanno sempre conosciuto come Piazza “Carlina” – pare per i modi non esattamente virili di colui dal quale prende il nome –  stava proprio  nella sua bellezza discreta,  nella calma, nella sua bellezza quasi nascosta e nella sua discrezione, che costituitivano, per tutti coloro che l’attraversavano,  una sorta di oasi,  un momento di quiete quasi meditativa in mezzo al traffico della città.

Bene, peccato che ora tutto questo stia per finire, o meglio, possiamo dire che è già praticamente terminato.  Andato, sparito, divorato dal turismo. O anzi, potremmo dire “mangiato” dal turismo. Infatti, quella che era una tranquilla piazza dalle sabaude atmosfere,  è diventato l’ennesimo polo gastronomico per turisti e ragazzotti autoctoni annoiati in vena di farsi selfie da postare su Instagram.

Prima, invece, vale a dire prima della scoperta della vocazione turistica torinese, nella piccola piazza c’erano i soliti due o tre baretti che stavano lì tranquilli senza pretese e senza clamore, perfettamente incastonati con beata pacificità della piazza, oltre a un ristorante. Poi, pian piano, sono arrivati i pezzi grossi, i colossi, i big dell’offerta gastronomica:  prima è arrivato “100 montaidtos”, con i suoi paninetti spagnoli a un euro. Poi, in tempi recenti, è arrivato Mi Scusi, un pastificio con cucina sul modello di Savurè,  e per finire, proprio in questi giorni, ci sono state le entrate trionfali di Trapizzino, dritto dritto da Roma, il locale che offre l’ormai iconico triangolo di focaccia farcita inventato da Stefano Callegari, e la seconda apertura della Gelateria Mara dei Boschi. Allora, chiariamoci bene: sono contentissima che a Torino sia sbarcato Trapizzino, e anzi non vedo l’ora di addentare un bel triangolo di pasta ripieno di parmigiana di melanzane, coda alla vaccinara o pollo alla cacciatora, come non vedo l’ora di provare un bel piatto di agnolotti con sugo d’arrosto da MiScusi, così come sono curiosa di vedere se la seconda apertura di Mara dei Boschi presenterà qualche novità rispetto al locale orginario in San Salvario, a pochi passi da casa mia. Tutto questi bei locali rappresentanto per me, appassionata di cibo fin dalla più tenera età, una benedizione e una gioia, e penso che davvero siano una grande opportunità per tutti i luoghi dove si insediano, a patto che non siano tutti concentrati in un luogo in modo tale da snaturarne l’essnza.  Quello  che cioè da vecchia reazionaria lievemente misantropa non riesco proprio a mandare giù è la vera e propira cannibalizzazione  e l’omologazione seriale di tutte le nostre piazze e dei nostri siti più belli, a Torino come a Firenze, a Bologna come a Milano. Rimanendo a Torino, in poco tempo, da quel tranquilllo e raffinato gioiello di quiete e riserbo che era Piazza Carlina, eccola che diventerà il solito ritrovo con i soliti dehors con tavolini finto-provenzali, finto-rustici, finto fusion, con i soliti ragazzi-bene con birra d’ordinanza in mano – artigianale, per carità! – e  l’Iphone nell’altra, intenti a fotografare e postare, postare e fotografare, postare, fotografare, bere e mangiare. Ecco, a fronte di questo trionfo di gioventù mangiante e di tavolini al vento, io mi chiedo: ma possibile che ormai tutto, tutti i luoghi più belli e caratteristici, tutto il bello dei nostri territori debba essere sacrificato sull’altare del turismo e del divertimento? Possibile che questi luoghi carichi di storia e du cultura debbano finire i loro giorni così miseramente da essere solo più interprerati – dalle amministrazioni comunali per il ritorno in imposte, tasse suolo pubblico e balzelli vari, e dai  commercianti per l’ovvio ritorno in termini economici dato da locali siti in zone di grande richiamo – in chiave di turismo enogastronomico o di divertimento? Possibile che tutti i siti più belli e caratteristici debbano solo più diventare un ammasso di tavolini, sedie, gente che mangia, che beve, che fotografa, che posta a destra e a manca?  Piazza Carlilna, come le altre nunerosissime piazze italiane, era un gioiello da preservare, un patrimonio da tenere distante dalla massa caciarona e chiassosa  che sta dilagando nelle nostre città e trasformando ogni luogo di interesse storico o artistico in una semplice quinta per déhors alla moda o locali di grido. Le nostre piazze storiche non sono nate per essere ridotte a semplice sfondo di lusso per esercizi commerciali o a bancomat per le sempre esauste casse comunali. Certo, nessuno può impedire le legittime aperture di locali e localini nei locali più ricchi di storia delle nostre città. Ma almeno, i titolari di quegli stessi locali, sappiano che proprio quell’aria e quell’atmosfera particolare che  hanno ricercato per i propri clienti,  sarà irrimediabilmente perduta proprio a causa della loro stessa presenza. In cambio, in luogo dell’aura magica delle piazze storiche, potremo comunque deliziarci con lo spettacolo di umanità varia che gozzoviglia felice seduta ai graziosi tavolini dell’ennesimo déhors. Uno spettacolo di cui avremmo volentieri fatto a meno.