POTI’ BATTE FANELLA 3 A 0

By | 14 Febbraio 2019

Inutile girarci attorno: per Loretta Fanella, i dolci, la tecnica e la professionalità di Isaella Potì stanno a zero.

Lo ha detto chiaro e tondo sulla sua pagina Facebook, dove ha ripreso una foto di un dessert della giovane collega– una panna cotta al latte di pecora con ananas caramellato –  corredata da un chiarissimo commento: “Non ho più parole, se questa la ritenete pasticceria, allora io in tutti questi anni ho buttato via il tempo…”.

Poche parole, ma colme di significato, a cui, ovviamente, è seguito il solito fiume in piena di commenti e giudizi dei fan della Fanella, colmi di livore, saccenza  e maleducazione nei confronti della povera Potì.

Ah, per coloro che magari non lo sapessero, Isabella Potì e Loretta Fanella non sono esattamente le ultime due arrivate nel mondo della pasticceria: sous-chef e pastry-chef del ristorante Bros dei fratelli Pellegrino, a Lecce, e inserita un paio di anni fa dalla rivista americana Forbes nella classifica dei 30 personaggi “under 30” da tenere d’occhio per i prossimi anni la Potì, professionista conclamata, che ha  avuto come maestri personaggi del calibro di Carlo Cracco o Ferran Adrià la Fanella. Difficile immaginarle impegnate in una querelle da pollaio, eppure è proprio quel che è successo. E’ stata quindi Loretta Fanella la prima – ed in efetti la sola – ad attaccar briga, con il post indirizzato alla panna della collega, e in seguito,  evidentemnte non paga di aver già esprezzo un giudizio così  duro e sprezzante, ha rincarato la dose  il giorno successivo, su Identità golose, intervistata da Carlo Passera.

Chiari i punti cardine dell’attacco della Fanella, che comprendono nell’ordine:

1) Ma chi l’ha detto che  un professionista non debba giudicare il lavoro di un suo collega?  “A ottobre ero a Parigi ed ho fatto parte, in rappresentanza dell’Italia, di una giuria internazionale chiamata a dare un voto a piatti e ricette di venti pasticceri che venivano da tutto il mondo”, dice la Fanella, giusto per rimarcare la “peso” del suo giudizio. Peccato che quello da lei così aspramente criticato non fosse un piatto preparato per un concorso internalzione ma un semplice dessert senza velleità di primeggiare.

2)  la panna cotta al latte di pecoram, per Fanella,  NON è tale in quanto “di latte di pecora ce n’è solo il 20”, continua Fanella. Ad ogni modo ce n’è.

3) l’ananas non è “laccato”, bensì “bruciato alla base” dice Fanella; ovvero, se si vuol rivelare la vera essenza del commento, da leggere tra le righe: “cara Isabella, non solo non sai manco cuocere un ananas senza farlo bruciare, ma pure ci vuoi prendere tutti per i fondelli  facendolo passare per “laccato” metnre invece l’hai bell’e che bruciato.; ma ‘cca nisciun’ è  fesso”.

Alla fine di tutto, giusto per salvare un po’ di quella che un tempo veniva chiamata “buona creanza”, la Fanella termina augurando fortuna e successo alla giovane collega, ricordando però che in pasticceria, anche quella da ristorante,  “tutto ha un limite”, e che “non si possono dismettere le norme di base”. Veri attestati di stima.

E la Potì, come ha reagito la Potì di fronte a questo fuoco di fila di bordate non richieste verso la sua povera panna cotta?

Con una  compostezza che non molti sarebbero riusciti a mantenere, senza insultare, criticare a casaccio o scomporsi, ma anzi, dando anche velatamente una lezione di pasticceria:  rispetto al 20% di latte di pecora, Potì chiarisce che “è un latte dal gusto molto, molto deciso, e dobbiamo stemperarlo, altrimenti l’esito sarebbe immangiabile; quindi lo utilizziamo in proporzione, circa al 20%. Se utilizzassi 100% di latte di pecora, rovinerei il piatto”. Tiè!.

Per quanto riguarda l’ananas, invece, Potì chiarisce che presenta quel colore ambrato a causa della cottura lenta ai carboni e della glassatura con melassa e melograno: “non è bruciato!”, afferma decisamente Potì. Lezioni di pasticceria n. 2

La Potì continua poi   la sua difesa chiarendo che “i dolci proposti nel ristorante costituiscono un continuum con tutto il pasto, e non sono fini a se stessi. Ma soprattutto, “non siamo legati mani e piedi alle tecniche di pasticceria”. In pratica, se voglio servire un semplice budino, un flan o una tranquilla panna cotta con una fetta di ananas, non signfica che non saprei fare una millefoglie come si deve, una saint-honorè o che non abbia le basi della pasticceria o che difetti di tecnica. Semplicemente, faccio altro. Mi diverto a fare altro. Lezioni di pasticceria numero 3.

Della serie, l’aquila può volare all’altezza della quaglia (ma la quaglia, vola?), ma la quaglia non può volare all’altezza dell’aquila.

Incommentabile.